1969/01/18 - L’incidente segreto della Soyuz 5

Drammatico rientro a Terra del veicolo spaziale sovietico Soyuz 5, che ha a bordo, da solo, il trentaquattrenne Boris Volynov: il modulo di servizio, che sta sul retro del veicolo, non si sgancia correttamente dalla capsula di rientro dopo l’inizio della manovra di discesa. Rimane attaccato alla capsula, e siccome è la parte del veicolo che offre la maggiore resistenza aerodinamica si dispone spontaneamente dietro, mettendo la capsula e Boris Volynov davanti. Ma questo assetto è il contrario di quello necessario per sopravvivere al rientro, perché la Soyuz a questo punto ha lo scudo termico dietro anziché davanti.

Il calore intensissimo del rientro agisce quindi sulla parte meno protetta della capsula: Volynov, invece di essere schiacciato contro il proprio sedile dalla decelerazione, viene spinto in senso contrario, contro le cinture di sicurezza che lo trattengono, e assiste impotente alla progressiva combustione delle guarnizioni del portello, che riempiono di fumo la capsula. Il cosmonauta, oltretutto, non ha una tuta pressurizzata che lo protegga.

I tecnici al Controllo Missione sovietico, informati via radio da Volynov della situazione, hanno già capito che non c’è nulla da fare e uno di loro si toglie il cappello, vi mette dentro tre rubli e lo passa agli altri per iniziare la colletta per l’imminente vedova.

Illustrazione del rientro della Soyuz 5.


Fortunatamente il calore esterno fonde i collegamenti fra il modulo di servizio e la capsula di rientro poco prima che ceda il portello e quindi il modulo di servizio si sgancia violentemente, permettendo alla capsula di riprendere il proprio assetto normale: il suo scudo termico, finalmente in posizione corretta, assorbe il calore prodotto dall’attraversamento dell’atmosfera e la capsula decelera, ma lo fa brutalmente, sottoponendo Volynov a ben 9 g, perché i razzi di manovra, che normalmente dovrebbero ridurre la decelerazione imponendo un assetto che genera portanza e quindi produce una planata, non funzionano: il loro propellente è stato esaurito dal computer di bordo nel vano tentativo di orientare correttamente la capsula mentre era ancora vincolata al modulo di servizio.

Non è finita: i cavi del paracadute della capsula si ingarbugliano parzialmente e i razzi che servono per la frenata finale sono danneggiati dal rientro e non funzionano, per cui l’impatto con il suolo è durissimo, anche se la neve lo smorza lievemente: Volynov viene sbalzato dal proprio sedile e si spezza alcuni denti. Oltretutto la capsula è atterrata nei monti Urali, a centinaia di chilometri dal punto previsto in Kazakistan, per cui i soccorsi non possono arrivare prontamente. Fuori la temperatura è -38 °C e nella capsula non c’è riscaldamento. Volynov viene raggiunto dai soccorritori circa un’ora dopo il suo fortunoso atterraggio.

Il disastro sfiorato verrà tenuto segreto dalle autorità sovietiche fino al 1997.

Le peripezie di Volynov non sono ancora finite: il 22 gennaio 1969 sarà coinvolto in un attentato al premier sovietico Brezhnev.

Boris Volynov.


Fonti: James Oberg, 2008; Il mistero dei cosmonauti perduti, Luca Boschini (2013), pag. 161; Astronautix; Sven Grahn; Soyuz: A Universal Spacecraft, Rex Hall e David Shayler, p. 155-156; Rockets and People, Volume 4, Boris Chertok, p. 187; The First Soviet Cosmonaut Team, Colin Burgess e Rex Hall (2009), pag. 290; Волынов. Падение из космоса, 2008; Spacefacts.