Drammatico rientro a Terra del veicolo spaziale sovietico
Soyuz 5, che ha
a bordo, da solo, il trentaquattrenne Boris Volynov: il modulo di servizio, che
sta sul retro del veicolo, non si sgancia correttamente dalla capsula di rientro
dopo l’inizio della manovra di discesa. Rimane attaccato alla capsula, e siccome
è la parte del veicolo che offre la maggiore resistenza aerodinamica si dispone
spontaneamente dietro, mettendo la capsula e Boris Volynov davanti. Ma questo
assetto è il contrario di quello necessario per sopravvivere al rientro, perché
la
Soyuz a questo punto ha lo scudo termico
dietro anziché
davanti.
Il calore intensissimo del rientro agisce quindi sulla parte meno protetta della
capsula: Volynov, invece di essere schiacciato contro il proprio sedile dalla
decelerazione, viene spinto in senso contrario, contro le cinture di sicurezza
che lo trattengono, e assiste impotente alla progressiva combustione delle
guarnizioni del portello, che riempiono di fumo la capsula. Il cosmonauta,
oltretutto, non ha una tuta pressurizzata che lo protegga.
I tecnici al Controllo Missione sovietico, informati via radio da Volynov della
situazione, hanno già capito che non c’è nulla da fare e uno di loro si toglie
il cappello, vi mette dentro tre rubli e lo passa agli altri per iniziare la
colletta per l’imminente vedova.
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Illustrazione del rientro della Soyuz 5.
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Fortunatamente il calore esterno fonde i collegamenti fra il modulo di servizio
e la capsula di rientro poco prima che ceda il portello e quindi il modulo di
servizio si sgancia violentemente, permettendo alla capsula di riprendere il
proprio assetto normale: il suo scudo termico, finalmente in posizione corretta,
assorbe il calore prodotto dall’attraversamento dell’atmosfera e la capsula
decelera, ma lo fa brutalmente, sottoponendo Volynov a ben 9 g, perché i razzi
di manovra, che normalmente dovrebbero ridurre la decelerazione imponendo un
assetto che genera portanza e quindi produce una planata, non funzionano: il
loro propellente è stato esaurito dal computer di bordo nel vano tentativo di
orientare correttamente la capsula mentre era ancora vincolata al modulo di
servizio.
Non è finita: i cavi del paracadute della capsula si ingarbugliano parzialmente
e i razzi che servono per la frenata finale sono danneggiati dal rientro e non
funzionano, per cui l’impatto con il suolo è durissimo, anche se la neve lo
smorza lievemente: Volynov viene sbalzato dal proprio sedile e si spezza alcuni
denti. Oltretutto la capsula è atterrata nei monti Urali, a centinaia di
chilometri dal punto previsto in Kazakistan, per cui i soccorsi non possono
arrivare prontamente. Fuori la temperatura è -38 °C e nella capsula non c’è
riscaldamento. Volynov viene raggiunto dai soccorritori circa un’ora dopo il suo
fortunoso atterraggio.
Il disastro sfiorato verrà tenuto segreto dalle autorità sovietiche fino al
1997.
Le peripezie di Volynov non sono ancora finite: il 22 gennaio 1969 sarà
coinvolto in un attentato al premier sovietico Brezhnev.
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Boris Volynov. |
Fonti:
James Oberg, 2008; Il mistero dei cosmonauti perduti
, Luca Boschini (2013), pag. 161;
Astronautix;
Sven Grahn; Soyuz: A Universal Spacecraft
, Rex Hall e David Shayler, p. 155-156; Rockets and People, Volume 4, Boris Chertok, p. 187; The First Soviet Cosmonaut
Team
, Colin Burgess e Rex Hall (2009), pag. 290; Волынов. Падение из космоса, 2008;
Spacefacts.