La scia di frammenti che pochi minuti prima era uno Shuttle con sette persone a bordo. |
L‘equipaggio a bordo del Columbia prima del rientro fatale. Da sinistra: in rosso, Kalpana Chawla, Rick Husband, Laurel Clark e Ilan Ramon; in blu, David Brown, William McCool, Michael Anderson. |
Durante il decollo, il 16 gennaio 2003, il Columbia era stato colpito all’ala sinistra da un frammento della schiuma isolante dei supporti del grande serbatoio di propellente che accompagna la navetta. Il danno era sembrato a prima vista trascurabile e la fase orbitale della missione era stata completata normalmente, ma l’impatto aveva in realtà aperto un varco nel bordo d’attacco dell’ala.
Attraverso questo varco, durante il rientro, è penetrata l’aria rovente che circondava il velivolo, fondendo la struttura dall’interno. L’ala si è spezzata e lo Shuttle, privo di controllo, si è disintegrato mentre planava a venti volte la velocità del suono, a circa 70 chilometri di quota.
Nei giorni successivi circoleranno le ipotesi più strane e alcuni giornali pubblicheranno falsi scoop sul disastro. Il 30 dicembre 2008 verrà pubblicato il rapporto finale della NASA sulle cause della perdita dell’equipaggio e del veicolo.
Il rapporto (parzialmente censurato per quanto riguarda i dettagli personali dei resti degli astronauti) documenterà che l’equipaggio è perito per l’improvvisa perdita d’ossigeno in cabina e per gli impatti traumatici dovuti al distacco dell’abitacolo dal resto del veicolo, come già appurato dalla prima indagine svolta subito dopo il disastro, ma aggiungerà che i piloti si sono resi conto dei primi sintomi di cedimento della struttura circa un minuto prima della disintegrazione del velivolo e hanno tentato di rimediarvi fino all’ultimo istante, dimostrando una determinazione straordinaria.
Il rapporto rivelerà inoltre che gli astronauti sono sopravvissuti alla frammentazione iniziale del Columbia, quando il modulo abitato del veicolo, contenente le due cabine dell’equipaggio, si è staccato praticamente integro dal resto della fusoliera ed è restato intero per circa 38 secondi, precipitando per 20 chilometri, privo di energia e senza contatto radio. La sua disgregazione è durata altri 24 secondi circa.
Le cabine, però, si sono depressurizzate così rapidamente che l’equipaggio ha perso conoscenza prima di poter attivare le tute pressurizzate. È presumibile che nessuno abbia ripreso conoscenza. In ogni caso, la rotazione incontrollata della struttura ha sottoposto i corpi degli astronauti a traumi letali, scuotendone violentemente il tronco e la testa.
Il rapporto sembrerà indicare, in modo piuttosto sorprendente, che l’equipaggio sarebbe forse sopravvissuto ai traumi della disgregazione del veicolo se fosse stato protetto dai suoi primi effetti fisici e termici mediante una struttura più resistente, sistemi di ritenzione più efficaci che bloccassero il corpo contro gli scuotimenti (casco imbottito su misura e cinture di sicurezza integrali) e tute sigillate e pressurizzate. Tuttavia queste misure sarebbero state in contrasto con le procedure di rientro dello Shuttle, che prevedono che l’equipaggio debba essere sostanzialmente libero di muoversi in cabina e non sia chiuso nelle tute pressurizzate.
Il rapporto contribuirà anche a sfatare il mito della disintegrazione totale di un veicolo spaziale al rientro nell’atmosfera. Molti resti della cabina, nonché i resti degli astronauti, verranno recuperati intatti e privi di segni di combustione o surriscaldamento. L’orologio da polso portato in orbita dall’astronauta David Brown come regalo di compleanno per un ingegnere del centro spaziale Kennedy verrà recuperato quasi integro, con le lancette bloccate alle 9:06.
Questo secondo incidente mortale con uno Shuttle (dopo quello del Challenger nel 1986) sarà l’inizio della fine per questo veicolo eccezionale.
Su Marte oggi ci sono le Columbia Hills in ricordo in onore dell’equipaggio perduto.
L’equipaggio della missione STS-107, fotografato a ottobre del 2001: da
sinistra, David Brown, Rick Husband, Laurel Clark, Kalpana Chawla, Michael
Anderson, William McCool, Ilan Ramon.
Fonti: video del Controllo Missione; Planetary Society.