Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee, i tre astronauti assegnati alla missione
Apollo 204 (successivamente rinominata Apollo 1), primo volo
orbitale con equipaggio del veicolo Apollo che dovrebbe portare l’America
sulla Luna, muoiono nell’incendio della capsula nella quale sono sigillati da un
triplice portello, durante una prova tecnica a terra, sulla Rampa 34 del centro
di lancio di Cape Kennedy. Sono le 18:31 ora locale; in Italia sono le 00:31 del
28 gennaio.
Ed White, Gus Grissom e Roger Chaffee.
L’incendio, violentissimo, è innescato da una scintilla prodotta nei cavi
elettrici a contatto con i materiali infiammabili della capsula Apollo,
che ardono violentemente nell’atmosfera di ossigeno puro a 1,13 atmosfere: una
pressione superiore a quella atmosferica normale al livello del mare,
necessaria per le esigenze della prova in corso. I soccorritori impiegano cinque
interminabili minuti a farsi largo tra le fiamme e il fumo e ad aprire i
complicatissimi portelli d’accesso, ma è troppo tardi: gli astronauti muoiono
per asfissia in meno di un minuto.
L’interno carbonizzato della capsula Apollo nella quale sono
periti Grissom, White e Chaffee.
È il primo incidente mortale direttamente causato dal programma spaziale
statunitense: altri astronauti sono periti prima di Grissom, White e Chaffee, ma
in incidenti aerei.
L’incendio sarebbe stato perfettamente evitabile se solo fossero state
rispettate le buone norme di sicurezza e di progettazione, messe in disparte
dalla “go fever”, la febbre di andare verso la Luna a qualunque costo. Lo
shock per chi lavora alla NASA è talmente potente che per decenni questo
disastro sarà ricordato chiamandolo semplicemente e sommessamente
The Fire (“l’Incendio”). Tutti sanno cosa s’intende.
La tragedia avrà un enorme impatto sull’opinione pubblica mondiale e imporrà un
drastico riesame delle procedure NASA e di tutti i materiali usati per la
capsula Apollo, che probabilmente contribuirà ad evitare disastri durante
i voli spaziali veri e propri. Il rapporto della NASA sul disastro (Report of Apollo 204 Review Board – Findings, Determinations and
Recommendations) descriverà senza mezzi termini
“carenze di progettazione, fabbricazione, installazione, rilavorazione e
controllo qualità... assenza di soluzioni progettuali di protezione
antincendio... installazione di componenti non certificati”.
Nel corso dei 21 mesi che trascorreranno prima del primo volo con equipaggio,
Apollo 7, tutti i materiali infiammabili verranno rimpiazzati adottando
alternative autoestinguenti, le tute in nylon verranno sostituite con modelli in
materiale non infiammabile e resistente alle alte temperature e il portello
verrà riprogettato per aprirsi verso l’esterno in meno di dieci secondi. Per le
missioni successive verrà usata una miscela di ossigeno e azoto (60/40%) al
decollo, sostituita per il resto del volo con ossigeno puro a pressione ridotta
(0,33 atm).
La capsula Apollo 1 parzialmente smontata dopo il disastro.
Grissom e White erano veterani dello spazio ed eroi nazionali: Grissom, 40
anni, era stato il secondo americano a volare nello spazio, con una capsula
monoposto missione Mercury, ed aveva effettuato con John Young il volo
inaugurale delle capsule Gemini (con la missione Gemini 3); Ed
White, 36 anni, aveva compiuto la prima “passeggiata spaziale” statunitense e
la seconda al mondo durante la missione Gemini 4). Roger Chaffee, 31
anni, non aveva ancora volato nello spazio ed era considerato uno dei massimi
esperti nei sistemi di comunicazione e manovra del programma Apollo.
Gus Grissom e Roger Chaffee sono sepolti ad Arlington; la tomba di Ed White è
a West Point.
Una replica della capsula verrà esposta al Tellus Science Museum di
Cartersville, in Georgia; il veicolo originale, dopo le perizie, verrà
custodito per decenni dalla NASA al Langley Research Center, in Virginia, in
un contenitore ermetico all’interno di un capannone fatiscente. Il 17 febbraio
2007 verrà traslocato in una struttura climatizzata adiacente.
Il capannone che custodirà la capsula Apollo 1 per
quarant’anni. Credit: J.L. Pickering, Mark Gray.
Nei decenni successivi, Scott Grissom, figlio di Gus Grissom, sosterrà che
l’incidente fu causato intenzionalmente per zittire gli astronauti prima che
denunciassero la pericolosità e l’inadeguatezza della capsula Apollo,
ma l’idea di insabbiare i difetti della capsula spaziale facendo morire gli
astronauti in un rogo che rivela i difetti della capsula stessa non sembra
particolarmente logica.
Il 27 gennaio 2017, in occasione del cinquantenario del disastro, i portelli
originali della capsula verranno esposti al pubblico per la prima volta
presso il Kennedy Space Center in un grande allestimento commemorativo
intitolato Ad Astra per Aspera.
Grissom, White e Chaffee. Foto NASA S67-19771.
Fonti:
Klabs.org;
NASA;
SSA;
SSA;
CollectSpace;
Scientific American;
CollectSpace;
Roger Launius, 2014;
Archive.org
(serie di foto);
About.com;
CollectSpace;
CollectSpace;
Apolloarchive.