Per la prima volta un volo spaziale con equipaggio viene costretto a un
drammatico rientro d’emergenza dopo il decollo: la Soyuz 18A,
18-1 o 7K-T numero 39 (la denominazione esatta è incerta perché
i russi danno un numero solo alle missioni concluse con successo) decolla per
portare alla stazione spaziale sovietica Salyut-4 Vasili Lazarev,
comandante della missione e maggiore dell’aviazione sovietica, e Oleg Makarov,
ingegnere di volo civile, per restarvi 60 giorni.
Ma quattro minuti e 48 secondi dopo il decollo, alla quota di 145 km, la
separazione del terzo stadio dal secondo non avviene correttamente: si aprono
solo tre dei sei agganci che tengono uniti i due stadi. Il motore del terzo
stadio si accende mentre il secondo è ancora agganciato. La spinta del motore
del terzo stadio spezza gli agganci rimasti, sganciando il secondo stadio, ma
la sollecitazione inattesa fa deviare il veicolo dalla traiettoria prevista.
Sette secondi dopo la mancata separazione, il sistema di guida della
Soyuz rileva l’anomalia e attiva un programma di
abort (interruzione d’emergenza).
A questo punto del volo il razzo d’emergenza collocato sopra il veicolo è già
stato sganciato e quindi è necessario ricorrere al motore principale della
Soyuz stessa, separando il veicolo dal terzo stadio e poi separando il
modulo orbitale e quello di servizio dalla capsula di rientro. Al momento di
queste separazioni il veicolo è già puntato verso la Terra e questo accelera
fortemente la sua discesa: invece della decelerazione di 15 g prevista per
questa situazione, già estremamente violenta, gli astronauti subiscono fino a
21,3 g.
Nonostante il sovraccarico, i paracadute della capsula si aprono correttamente
e rallentano la caduta del veicolo, che torna a terra dopo soltanto 21 minuti
di volo.
Ma i guai di Lazarev e Makarov non sono finiti: la capsula cade su un pendio
innevato e rotola verso uno strapiombo alto 150 metri, finché i paracadute
s’impigliano nella vegetazione e trattengono il veicolo spaziale.
L’equipaggio si trova immerso nella neve alta fino al petto e a -7 °C, per cui
indossa l’abbigliamento termico d’emergenza. Inizialmente teme di essere
finito in territorio cinese, in un momento in cui i rapporti fra Unione
Sovietica e Cina sono molto ostili, e quindi si affretta a distruggere i
documenti riguardanti un esperimento militare che si sarebbe dovuto svolgere
durante la missione.
In realtà l’atterraggio è avvenuto in territorio sovietico, a sud-ovest di
Gorno-Altaisk, circa 830 km a nord del confine con la Cina e a circa 1500 km
dalla base di lancio, ma i cosmonauti non lo sanno fino a quando viene
conseguito il contatto radio con un elicottero di soccorso, il cui equipaggio
li informa sul luogo di atterraggio. Lazarev e Makarov sono in patria, ma la
zona è talmente impervia che non vengono recuperati fino all’indomani.
Inizialmente le autorità sovietiche dichiarano che i cosmonauti non hanno
subito lesioni, ma emergerà poi che Lazarev ha subito traumi a causa
dell’elevatissima decelerazione. Makarov, invece, tornerà a volare con le
Soyuz 26, 27 e T-3.
La censura sovietica nasconde la serietà dell’incidente all’opinione pubblica
nazionale fino al 1983: all’indomani del lancio i giornali russi si limitano a
scrivere in seconda pagina, con un titolo piccolo e blandissimo (“Comunicato dal centro di controllo del volo”) che lo fa passare pressoché inosservato, che
“durante il percorso del terzo stadio del razzo i parametri della
traiettoria hanno deviato da quelli prestabiliti e un meccanismo automatico
ha fatto interrompere il volo, distaccando la cabina spaziale in modo che
scendesse a terra. L’atterraggio morbido è avvenuto a sud-ovest di
Gorno-Altaisk (Siberia occidentale). I servizi di ricerca e soccorso hanno
ricondotto al cosmodromo i due cosmonauti, che stanno bene”.
Gli Stati Uniti, invece, vengono avvisati sommariamente il 7 aprile, dopo il
recupero dell’equipaggio, ma chiedono maggiori chiarimenti, perché sono in
corso i preparativi per una storica missione spaziale congiunta fra russi e
americani, l’Apollo-Soyuz Test Project, che dovrà decollare tre mesi
dopo. Nel rapporto sovietico l’emergenza viene definita semplicemente
“anomalia del 5 aprile” .
L’equipaggio protagonista della “anomalia del 5 aprile”.
La Stampa dell'8 aprile 1975 (credit:
GA).
Fonti:
SSA; James Oberg;
TASS/La Stampa, 8 aprile 1975, tramite
GA.